Si possono creare in modo collaborativo dati open sui beni culturali? Ci sono ambiti in cui razionalizzando ed aggregando le conoscenze si possono formare nuovi spazi di discussione? I dati messi a disposizione fanno emergere elementi significativi e nuove informazioni facilmente riutilizzabili in nuovi processi positivi?
Per dare risposta, almeno in parte, a queste domande, abbiamo iniziato a sperimentare sulla piattaforma SPOD la creazione di dati “open” relativi ai castelli della Campania, in collaborazione con alcuni corsisti del Master “Cultural Heritage Information System” organizzato dal distretto Databenc.
Perché i castelli?
Abbiamo pensato di cominciare con i castelli in quanto rappresentano un caso sufficientemente articolato da permetterci di esplorare molteplici aspetti ma non così complicato da non poter essere gestito in fase sperimentale. Si tratta comunque di un campione vasto composto da circa 400 siti diffusi in modo omogeneo in tutta la regione. Ogni castello di per sé è un elemento complesso da mettere in relazione con le caratteristiche ambientali e con le peculiarità del territorio; spesso è allo stesso tempo contenuto e contenitore culturale ospitando musei, associazioni ed eventi. Inoltre ha un grande peso nella formazione dell’identità cittadina delle comunità locali essendo un riferimento costante del paesaggio culturale. La possibilità, infine, di utilizzare alcuni standard e buone pratiche già sperimentate (ad esempio la simbologia e nomenclatura dell’Istituto Italiano dei Castelli) ci ha convinto che il “dataset” dei castelli può essere un caso di studio valido.
Quali dati vogliamo creare?
Prima di iniziare a reperire le fonti per il censimento e la localizzazione, informazioni base per iniziare ogni possibile discussione, abbiamo vagliato i criteri per la schedatura e la tipologia dei dati da recuperare (dati materiali, dati sulla conservazione, cronologia, accessibilità). Visto che la maggior parte delle fortificazioni esistenti è il frutto di varie stratificazioni storiche e trasformazioni delle forme d’uso, l’individuazione della cronologia tramite un campo univoco ci è apparsa limitante. Per questo abbiamo articolato l’informazione introducendo diverse categorie che in fase di elaborazione di nuove “datalet” possono fornire dati più precisi. Per questo per ogni sito, ove possibile, sarà indicato l’ambito di fondazione (intendendo la temperie culturale corrispondente all’epoca di fondazione, età longobarda, bizantina, vicereale etc.), l’anno della prima attestazione nelle fonti scritte, il corrispondente secolo di attestazione storica e infine l’epoca e il secolo cui riferire i manufatti materiali visibili. I dati relativi alle cronologie ricavate dalle fonti storiche e le tipologie degli oggetti superstiti potrebbero essere sostanzialmente diversi (di un castello documentato nell’alto medioevo spesso oggi si possono rilevare solo le trasformazioni tardo medievali). Considerando poi che alcune fortificazioni ospitano edifici di cronologie diverse abbiamo introdotto anche i campi “Secolo Primo Manufatto” e “Secolo Ultimo Manufatto” in modo da dare conto anche dei casi più complessi. Sintetizzate in questo modo le notizie essenziali sulla dimensione storica, abbiamo pensato che fosse opportuno introdurre le informazioni più rilevanti utilizzabili nell’ottica della fruizione e valorizzazione indicando se il bene sia pubblico, visitabile e provvisto o meno di bigliettazione. Per quanto riguarda l’accessibilità e i supporti per le persone diversamente abili abbiamo adottato la terminologia e i criteri Mibact. Infine ci è sembrato opportuno segnalare lo status della tutela includendo la presenza e la tipologia degli eventuali vincoli.
Quali fonti usare?
Il reperimento di dati attendibili e verificabili rappresenta uno degli aspetti più importanti della sperimentazione. In rete e fuori dal web i dati sui beni culturali vanno accuratamente vagliati. E i castelli non sfuggono alla regola, anzi rappresentano i maggiori catalizzatori di suggestioni, leggende, memorie non meglio documentate che sovente vengono ripetute e rimbalzate amplificando il rumore intorno ai pochi dati certi. Consci di questo stato di fatto, abbiamo deciso di partire da fonti quanto è più possibile attendibili, cioè da quelle che hanno dei riferimenti e comunque intendiamo specificare da quale testo cartaceo o sito web traiamo le informazioni del “dataset”. Per questo, in una scala quasi gerarchica, ci affidiamo in primo luogo alla bibliografia scientifica specifica e alle banche dati istituzionali, poi a testi di carattere generale come le guide o alle schedature di enti e associazioni.
Quali modalità adottare?
Per lavorare in modo collaborativo stiamo utilizzando la piattaforma SPOD, in particolare lo strumento di co-creazione dei dati. Partecipando alla discussione e con il costante intervento di esperti del dominio che fanno parte del team, la validazione preliminare del dataset avviene quasi in tempo reale. Gli strumenti della Bacheca e dell’Agorà permettono, inoltre, una “meta discussione” su merito e metodo del lavoro che agevola la standardizzazione del processo e gli aggiustamenti in corsa e che rappresenta un’altra fonte di informazione, questa volta sui processi di costruzione della conoscenza.
Infine il lavoro potrà essere pubblicato e riutilizzato da altri utenti tramite http://open.databenc.it/
Contiamo di pubblicare a breve le prime datalet e di verificarne così subito l’efficacia.
A. Corolla – G. Santangelo