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Il culto micaelico in Campania

Il culto micaelico si sviluppò presso i Longobardi dopo la conversione dall’arianesimo al cattolicesimo, avvenuta alla fine del VI secolo dopo il loro stanziamento in Italia. Questo popolo riservò una particolare venerazione all’arcangelo Michele, al quale attribuirono le virtù guerriere un tempo riconosciute nel dio germanico Odino.

Nel territorio del ducato di Benevento sorgeva il santuario di San Michele Arcangelo, fondato prima dell’arrivo dei Longobardi, ma da questi adottato come santuario nazionale a partire dalla conquista del Gargano nel VII secolo.

Dall’epicentro garganico il culto micaelico si diffuse nella parte settentrionale del regno (Langobardia Maior) e nella parte meridionale (Langobardia Minor).

Il culto di San Michele Arcangelo è particolarmente radicato in Campania: si contano una novantina tra chiese, monasteri, basiliche, santuari, grotte ed eremi dedicate al culto di Santo. Di questi, settanta sono di origine rupestre (chiese, santuari, grotte e basiliche) e diffusi in zone montuose dal Matese ai Picentini, fino al Cilento.

La provincia di Salerno presenta la più ampia diffusione del culto con circa quaranta attestazioni.

Sicuramente una menzione particolare merita la Grotta di Olevano sul Tusciano, nota anche come Grotta dell’Angelo. La Grotta è una cavità naturale, scavata nella roccia e situata sul versante occidentale del Monte Raione. Comprende una prima cavità che si estende in salita per circa 200 metri ed ospita le strutture di un convento, una Basilica dedicata a S. Michele. L’antro, poi, si suddivide in due rami, uno dei quali conserva un giacimento preistorico. Sin dall’XI secolo la grotta era una meta rilevante degli itinerari religiosi, rappresentando una delle tappe sulla via del ritorno dalla Terra Santa. Tutta l’area è caratterizzata dalla presenza delle copiose sorgenti del fiume Tusciano. La prima attestazione come luogo sacro risale all’819. Le sette cappelle presenti all’interno erano probabilmente destinate ad usi diversi, per quanto tutte insieme costituissero una sorta di via sacra che i pellegrini percorrevano per rendere ossequio al Santo.

La provincia di Avellino presenta una diffusione del culto, esclusivamente, in contesti rupestri. La prima menzione esplicita della Grotta di San Michele o dell’Arcangelo situata nella località Preturo di Montoro, tra i monti Bufoni e Romola, compare in un documento del 995. La grotta è formata da una doppia cavità naturale con due aperture ed una conca per la raccolta dell’acqua che gronda dalle stalattiti. Nella grotta principale, la più antica ed ampia, un affresco riproduce “San Michele che sconfigge il drago”, mentre un altro raffigura la Pietà. Nella cavità secondaria altri affreschi bizantini, forse d’età longobarda, sono dedicati all’Arcangelo Michele, a San Biagio e a San Gregorio.

Nel beneventano le attestazioni sono inferiori rispetto alle altre province, infatti si contano solo otto tra eremi e chiese rupestri. La chiesa rupestre di Faicchio venne adibita al culto dell’Arcangelo intorno all’VIII secolo dai Longobardi. Nel corso del XII secolo furono effettuati dei rifacimenti e fu abbellita da pregevoli affreschi. Venne inaugurata solennemente nel 1172. Posta a 500 metri di altitudine, la grotta ha un’apertura semicircolare posta a sei metri d’altezza. Dopo aver percorso una scala si giunge al primo ambiente adibito a chiesa che presenta delle stalattiti e delle stalagmiti.

Nel territorio napoletano e casertano le attestazioni micaeliche sono circa una ventina. Per quanto riguarda la provincia di Caserta, degno di nota è la Grotta di San Michele, chiesa rupestre situata tra i comuni di Raviscanina e Sant’Angelo d’Alife. All’interno della Grotta erano presenti tracce di pitture rupestri del periodo preistorico. Con i Longobardi, poi, divenne santuario adibito al culto di San Michele Arcangelo. All’entrata della grotta si vede una perforazione nella roccia viva: la leggenda narra che proprio in questo luogo vi fu una lotta tra il Demonio e l’Arcangelo Michele.

Altro sito importante è il santuario rupestre di San Michele sul Monte Faito. La storia del santuario è strettamente legata a quella dei Santi Antonino e Catello. Sant’Antonino, in fuga da Montecassino, trovò riparo a Stabia, dove fu accolto dal vescovo Catello. Una notte San Michele apparve in sogni ai due Santi, ordinando loro la costruzione di una chiesa in suo onore. Così fu edificato sulla cima più alta dei Monti Lattari un primo edificio sacro dedicato a San Michele in legno. Nel 1558 fu descritto per la prima volta il miracolo della sudorazione di manna dalla statua di San Michele: si narra che, durante l’invasione dei turchi a Sorrento, un gruppo di fuggitivi, scampati al saccheggio e alla prigionia, si rifugiò sul Monte Faito per chiedere aiuto al Santo, il quale fece sgorgare dalla statua gocce di sudore. Il giorno dopo la città fu liberata dagli invasori.

(in collaborazione con il gruppo di lavoro SNECS e CHIS composto da Marianna Aliberti, Maria Anna Ambrosino, Vanja Annunziata, Giuliano Gambino, Carmela Luciano)